sabato 22 maggio 2010

Il Messico di Rafael Lozano-Hemmer





L’esordio del Messico alla 52° Biennale di Venezia è espresso in maniera coinvolgente da diverse installazioni ipertecnologiche e sentimentali collocate all’interno del cinquecentesco Palazzo Soranzo Van Axel a pochi passi dalla Chiesa di Santa Maria dei Miracoli, in una zona di Venezia meno frequentata dai turisti e per questo ancora più estremamente vera ed intimistica.
“Alcune cose accadono più spesso di tante altre” questo è il titolo che l’artista di origine messicano-canadese Rafael Lozano-Hemmer ha dedicato alle sue installazioni collocate nel palazzo. Un avvertimento, un augurio, forse un suggerimento che mi incuriosisce tremendamente.
Varco il portone posto alla fine di una stretta fondamenta e ritorno indietro di seicento anni: archi a tutto sesto, scalone esterno sospeso su pilastri che a loro volta sorreggono archi, muri in mattoni faccia a vista rigorosamente irregolari perchè fatti a mano, al centro del cortile una vera da pozzo per la raccolta dell’acqua ed il sostentamento del palazzo non chè della sua piccola comunità che ci viveva. Mi guardo intorno, nessun gesto d’arte anticipa le installazioni che sto cercando, nessun accenno extra-ordinario fatta eccezione per un grande manifesto dai colori mescolati ed un po’ ambigui. Varco un bellissimo portone fuori scala, in legno intarsiato, e vado avanti nel tempo, mi ritrovo in una realtà quasi cibernetica in cui le sedie creano onde del mare. All’interno del piano nobile di questo palazzo, sto ammirando l’installazione intitolata “Funzione d’onda”, appoggiata su di uno splendido pavimento alla veneziana (pavimenti famosi per la loro quasi inspiegabile elasticità e minuzia di frammenti di pietra colorata, casuali ma ordinatissimi).
L’installazione è costituita da un allineamento di quaranta sedie bianche in plastica che si sollevano e si abbassano grazie ad uno stantuffo meccanico. Quello che colpisce è che il loro movimento (che contemporaneamente crea il rumore delle onde che si infrangono sulla battigia) è regolato e controllato da un complicato sistema di sensori. Sono io, il visitatore della mostra, che muovendomi intorno alle sedie provoco le “vibrazioni” che le mettono in movimento. Il mio esitare o incedere fa scatenare il mare tecnologico idealizzato da Lozano: assolutamente straordinario. E più i visitatori si accorgono del potere loro concesso dall’artista, più cominciano a muoversi ed è un crescendo di onde marine meccaniche e di sali scendi; ovviamente suggestionata da tutto ciò, sento quasi il profumo di salsedine che mi riporta alla mia infanzia. Cambio stanza e un grande occhio su di un tv al plasma appeso alla parete mi osserva. L’artista ha intitolato quest’opera “Tensione artificiale”. Mi avvicino e lui mi fissa sempre più, mi sposto velocemente a destra e poi a sinistra convinta di batterlo sul tempo ma niente, lui è più veloce di me. Magnifica questa installazione che mette in relazione, in modo così interattivo, la presenza umana con la tecnologia. É il televisore stesso che mi osserva, qualcuno nella stanza ne è quasi convinto; molto suggestivo. Al piano superiore del palazzo vi è a mio parere l’installazione più spettacolare e geniale. Si intitola “La stanza che pulsa”, ma a pulsare è il nostro cuore amplificato all’infinito nell’incontro di tanti cuori. L’artista, grazie ad uno speciale e semplice apparecchio costituito da un sensore, registra il ritmo e l’intensità del battito cardiaco del visitatore. Questo battito (per cui movimento, rumore) viene però visualizzato dall’accendersi e dallo spegnersi di una lampadina. Quindi l’artista trasforma il movimento in luce, alchimie possibili solo nell’effimero mondo dell’arte.
Il passaggio è spettacolare: il visitatore si concentra stringendo le due maniglie poste davanti a lui e dopo pochi secondi la prima lampadina della prima fila appesa al soffitto comincia a vivere in simbiosi con il cuore del visitatore stesso assumendone i battiti e l’intensità (cambia, infatti, anche il colore della luce della lampadina: da flebile a molto intensa a seconda del temperamento della persona che sta interagendo). Quando poi i visitatori si susseguono, il primo battito-luce passa alla seconda lampadina e così via. Esterrefatta, resto lì in piedi a seguire il traslare del battito del mio cuore in quel soffitto pulsante, in quella moltitudine di file di bulbi di vetro. La penombra del palazzo evidenzia ed esalta i cuori di tante anime che sono passate per quel luogo e che hanno lasciato un segno. Lozano riesce in modo fantastico ad entrare nella profondità della natura umana creando opere-installazioni che si animano con l’interazione fisica, trasformando meccanismi tecnologici in poetiche riflessioni. La tecnologia, sapientemente controllata dall’uomo-artista, è al servizio dell’arte. L’arte consacra la vita diventando vita essa stessa oggi più che mai.

Elena Sandre

All’indirizzo www.lozano-hemmer.com/venice ci sono i video delle installazioni trattate sopra e anche di altre comunque sempre molto interessanti.




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