giovedì 4 febbraio 2010

Kelibia: un ponte tra nord e sud


Tra le città tunisine, Kelibia è quella situata più a nord. Si può dire che, grazie alla sua posizione geografica, abbracci metaforicamente il Mediterraneo diventando il punto di incontro privilegiato tra l’Africa e L’Europa. Situata nell’estremità dell’isola di Cap Bon, dista infatti soltanto 73 kilometri dall’isola di Pantelleria (gli abitanti di Kelibia dicono che da qui, alla sera, si vedano le luci del porto di Pantelleria), 140 km dalla Sicilia e 260 km dalla Sardegna e da Malta. Questa sua posizione strategica l’ha esposta, nell’antichità, da un lato, ad invasioni (ne è testimonianza La Fortezza bizantina del VI secolo che sovrasta tutto il porto, realizzata proprio per difendersi dagli attacchi degli invasori) , dall’altro, è stata fonte di arricchimento e di scambio con altre civiltà (lo dimostra il sito archeologico di Kerkeuan, una vera e propria città punica). Recentemente sono state anche ritrovate antiche vestigia ebraiche a testimonianza del fatto che, in passato, a Kelibia abitava una numerosa comunità ebraica. Oggi Kelibia è una ridente città di mare. La pesca ed il turismo sono le sue principali risorse. Il paesaggio (con il suo clima secco e mite), la cucina (dove l’uso di olive e dei capperi la fanno da padrona) sono tipicamente mediterranei.
Kelibia si presenta agli occhi dei visitatori stranieri come una città moderna, piena di resorts turistici, con una movida notturna che non ha nulla da invidiare a ben più note città europee come Ibiza o Riccione. Ma la bellezza di Kelibia non risiede tanto nelle sue attrazioni turistiche o nelle vestigia del suo illustre passato quanto nei suoi abitanti, incarnazione del fenotipo mediterraneo. I suoi abitanti hanno il sé la traccia di tutte quelle popolazioni (romani, fenici, arabi) che sono approdate sulle coste del mare che bagna Kelibia. I ragazzi di Kelibia sono diversi da quelli di altre città come Kairouan (orgogliosi di discendere da stirpe araba; c’è un detto qui che dice che gli abitanti di Kairouan si riconoscano dal taglio degli occhi!) o di Gabès e, se non fosse per i costumi tipici che i bambini indossano per attrarre i turisti o per il gelsomino che essi porgono gentilmente ai turisti, non sembrerebbe di trovarsi in Tunisia.
La strada che da Korba conduce a Kelibia è disseminata da greggi di pecore al pascolo e, man mano che ci sia avvia verso il centro abitato di Kelibia, ci si imbatte in tante piccole imprese artigianali, soprattutto mobilifici a conduzione familiare. Ma è la notte che la città di Kelibia scopre il suo volto ed i giovani si confondono con i turisti. L’unica cosa che conta è divertirsi e si sa, il divertimento è un linguaggio universale che non conosce confini. Le ragazze sorseggiano il thé alla menta nei caratteristici cafè e fumano, insieme ai turisti, il narghilé (che qui chiamano sciscia), indossano vestiti all’occidentale, l’unico tocco esotico che le rende “riconoscibili” sono gli accessori (gli orecchini ingombranti, i bracciali in stile arabo o gli onnipresenti ciondoli scacciamalocchio denominati “Hamsa” (cinque) che simboleggiano la mano di Fatima le cui cinque dita rappresentano i cinque pilastri dell’Islam. Com’è lontano, visto da qui, lo sterile dibattito che in Italia e in Europa imperversa, sul velo islamico. Qui non lo indossa quasi nessuno e comunque, la decisione di portarlo o meno, è affidata alle coscienze di ognuno.
Oggi come ieri questa gente ha fatto della diversità la sua ricchezza. I continui accostamenti con altri popoli, con altre culture, con altre realtà hanno permesso, agli abitanti di Kelibia, fin dai tempi più remoti, di percepire il prossimo non come una minaccia per la propria sopravvivenza bensì come un’inesauribile fonte cui attingere. Kelibia, più di altre città, ha saputo sfruttare positivamente questa sua caratteristica accogliendo tutto ciò che di buono veniva dall’esterno senza perdere i tratti peculiari della propria identità storico-culturale. Poiché, è soltanto conoscendo approfonditamente la propria identità, la propria storia, le proprie radici, che si può imparare ad accettare ed accogliere pienamente la diversità senza trarre soluzioni sbrigative o demagogiche, senza pregiudizi o stereotipi ma con coscienza, senso di responsabilità e amore.


di Emanuela Frate

1 commento:

  1. Le persone vogliono la libertà senza doversi privare del bagaglio culturale cui appartengono.
    Se gestito in modo corretto il maggiore riconoscimento delle identità porterà ad una maggiore diversità culturale nella società che finirà per arrichhire la vita delle persone.....

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